Storia dell’allattamento materno (2° parte): l’allattamento mercenario o baliatico
Breastfeeding and the use of human milk (Policy statement)
Quando mancava il latte materno o di altra donna, fin dall’antichità si ricorreva al latte animale, addirittura ponendo il lattante direttamente sotto le mammelle della mucca o di altra femmina animale a disposizione.
Quando il fenomeno degli abbandoni nei brefotrofi divenne di così grandi proporzioni, che le balie assoldate dagli ospedali non erano più sufficienti a soddisfare la richiesta, si tornò ad utilizzare questo tipo di alimentazione artificiale. Ma i risultati furono talmente disastrosi, da essere paragonati ad una vera ecatombe.
Quindi la medicina iniziò delle ricerche scientifiche per scoprire la natura del latte materno e le differenze tra i vari tipi di latte animale: lo scopo era di creare un latte, simile a quello materno, per renderlo adatto ai bisogni del bambino.
La spinta per queste ricerche fu data dalla necessità di combattere l’altissima mortalità infantile. In verità, c’erano molti altri problemi da superare: le cattive condizioni igieniche nelle quali vivevano le mucche, le rudimentali modalità con cui si prelevava, si conservava e si manipolava il latte, il lungo tempo che intercorreva tra la raccolta, il trasporto e la vendita del latte alle famiglie, la mancanza di refrigerazione, la ulteriore contaminazione con acqua o altri liquidi aggiunti.
A peggiorare le dimensioni del problema contribuivano le forme strane e complicate dei poppatoi (realizzate in vari materiali come peltro o ceramica e solo nel 1800 per fortuna anche in vetro), che non permettevano una perfetta pulizia, e le rudimentali tettarelle, formate da pezzi di tela uniti a spugne che diventavano terreno fertile per la proliferazione di germi (solo nel 1845 venne brevettata la tettarella in gomma indiana).
Proprio per l’elaborazione delle sue forme, un tipo di poppatoio in vetro chiamato “Siphonia”, era conosciuto come “bottiglia della morte”.
Una svolta storica avvenne con il metodo della sterilizzazione da parte di Luis Pasteur (1822 – 1895) nel 1864, adottato per il latte nel 1886 con il nome di pastorizzazione. Il metodo per la sterilizzazione del latte faticò ad essere accettato fino all’inizio del Novecento.
Nel 1908 Chicago fu la prima città al mondo ad adottare la pastorizzazione. Nella seconda metà dell’Ottocento si cominciò a parlare di latti conservati, di farine lattee, di latti condensati e formule simili.
Un grande clamore accompagnò il lancio sul mercato a pochi anni di distanza uno dall’altro, di due prodotti per l’infanzia: la “zuppa di malto”, del chimico tedesco Justus von Liebig nel 1865 e la “farina lattea” dell’industriale svizzero Henri Nestlé nel 1867. Queste due formule ebbero il merito di aprire la strada alla lunga ricerca di alimenti dietetici per l’infanzia.
Ma in questo secolo avvenne, soprattutto, un cambiamento nel costume della donna, che cercava di riappropriarsi del suo ruolo materno (ritorno all’allattamento al seno, alla cura dei bambini e alla loro educazione), negatole a lungo dalle convenzioni sociali, dalle condizioni drammatiche di sopravvivenza e dai tabù sessuali.
Nel Novecento la donna incominciava faticosamente a fare il suo ingresso nel mondo del lavoro, pagando, però, un altissimo prezzo, sia dal punto di vista dalle salute che da quello degli affetti familiari.
La nuova situazione, che si andava creando con la presenza femminile nell’ambito lavorativo, comportò una rivoluzione dello stile di vita della famiglia, formando una diversa consapevolezza del ruolo e dei diritti della donna.
Proprio l’inserimento nelle fabbriche e negli uffici fu uno dei fattori più importanti, che hanno portato al declino dell’allattamento al seno, “unitamente alla rapida urbanizzazione, all’industrializzazione, all’idea che i nuovi alimenti infantili potessero sostituire il latte materno e la conseguente incapacità di allattare, dovuta al progresso evolutivo della società”.
L’allattamento materno, considerato da secoli l’attività più naturale per la donna, che fornisce l’alimento più adatto ed idoneo alla salute del bambino, veniva trascurato, non solo dalle istituzioni mediche, ma anche dalle donne stesse. Paradossalmente, con il raggiungimento del benessere generale, l’allattamento al seno continuava a perdere punti percentuali ogni anno.
Gli anni ’60 e ’70 videro in prima linea problemi che riguardavano più propriamente l’emancipazione della donna e la sua liberazione da antichi obblighi e doveri; gli anni ’80 portarono una iniziale inversione di tendenza, anche se l’attenzione era incentrata sui problemi del parto.
Con gli anni ’90, invece, si può parlare di una volontà di promozione dell’allattamento al seno, attraverso la individuazione di fattori ulteriori che hanno determinato la sua riduzione: “la carenza di promozione da parte delle istituzioni ospedaliere e la mancanza di preparazione del personale infermieristico, la presenza di regole rigide ospedaliere che separano nettamente madre e figlio e la pubblicità per propagandare l’allattamento artificiale”.
La svolta avviene con la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, approvata il 20 novembre 1989 a New York (lo Stato Italiano l’ha trasformata in legge nel 1991) nella quale si pone l’accento sull’informazione “sui vantaggi dell’allattamento al seno”, per poi sfociare nella “Dichiarazione degli Innocenti.
Sulla protezione, promozione e sostegno dell’allattamento al seno” (OMS – UNICEF), approvata, sempre a New York, al Summit mondiale per i bambini nel settembre del 1990. In quest’ottica nasce una iniziativa, sempre OMS – UNICEF, chiamata “Ospedale Amico del Bambino” lanciata ad Ankara nel giugno 1991, in occasione di una riunione dell’Associazione Internazionale dei Pediatri, con lo scopo di proteggere, incoraggiare e sostenere su scala mondiale l’allattamento al seno fin dai primissimi giorni di vita in ospedale.
Nell’ultimo decennio, proprio sulla scorta delle ricerche scientifiche e delle dichiarazioni dell’UNICEF, I medici pediatri di tutte le nazioni hanno aumentato la loro opera di educazione e di promozione dell’allattamento al seno, precedentemente delegata alle figure paramediche.
Per valutare le percentuali dei bambini allattati al seno in Italia, sono state condotte verso la metà degli anni ’90 alcune importanti ricerche; da queste risulta che circa il 90% delle mamme allattano al seno alla dimissione dall’ospedale di nascita, ma che tale percentuale si riduce al 40% circa verso il terzo mese di vita del bambino ed a meno del 30% al sesto mese.
Lo sforzo dei pediatri è quindi concentrato all’aumento delle percentuali di allattamento materno nei primi mesi di vita consapevoli dell’importanza sanitaria di tale pratica, ma anche, e soprattutto, del grande valore umano per la costruzione di un saldo rapporto affettivo in ambito familiare.
Ultimissimi dati della ricerca medica indicano inoltre un migliore sviluppo neuropsicologico ed un più alto quoziente intellettivo nei bambini allattati dalle loro madri. Per tutti questi motivi la difesa dell’allattamento al seno non potrà che continuare sempre con maggiore vigore anche nel Terzo Millennio.